E’ recente l’ultima, ennesima, polemica “nota” nel campo dell’assistenza infermieristica: quella di alcuni sindacati, questa volta, sull’infermiere di famiglia.
In realtà una maggior conoscenza della situazione assistenziale e una minore “natura polemica” nel dibattito che sta animando i nuovi modelli assistenziali, non richiederebbe nemmeno un impegno in una dissertazione-dibattito su cui i dati di fatto non lasciano nulla su cui dissertare, niente su cui dibattere.
L’infermiere cosiddetto “di famiglia” in realtà altro non è se non quell’infermiere che si occupa, il più delle volte unica figura nel campo assistenziale, dei bisogni dei cittadini che una volta fuori dell’ospedale sono spesso abbandonai a se stessi dal punto di vista dell’assistenza – si noti bene: non della diagnostica e terapia a cui pensa il medico di base, ma dell’assistenza, di quei bisogni cioè h24 per cui il paziente è di fatto solo – e se ne occupa con piena soddisfazione degli utenti visto che secondo una recentissima indagine Censis l’85% dei cittadini dichiara di fidarsi di noi e la fiducia aumenta oltre il 90% negli ultrasessantacinquenni.
La polemica sterile di alcuni che vogliono vedere motu proprio – nessuno glielo ha chiesto e non ne hanno evidenze – nella figura dell’infermiere di famiglia l’immagine di un professionista che in qualche modo invade il campo di azione altrui, altro non fanno se non alimentare quella vena di confusione – per i pazienti soprattutto – e di mala-informazione in generale che ormai resta a quanto pare l’unica difesa per sacche ormai minimali di nostalgici di situazioni che anche professionalmente nessuno considera più.
Eppure è chiaro e ormai palese: l’infermiere non fa diagnosi e terapia, ma nell’assistenza è preparato e formato ad altissimi livelli. Basta vedere che la responsabilità assegnata ai nostri professionisti è stata negli ultimi anni crescente. E non certo per risparmiare sulla spesa, ma per razionalizzare i servizi e l’assistenza, tenendo dritta la barra del coordinamento delle cure al paziente grazie alla professionalità degli infermieri in modo da evitare duplicazioni e disagi per ha bisogno di cure. Noi lo facciamo già, esaltando il concetto di cooperazione tra professioni a vantaggio dei pazienti: le esigenze sono sempre più complesse con l’innalzamento dell’età e l’aumento di cronicità e pluripatologie e non c’è più un paziente che può essere curato da un solo professionista, ma tanti professionisti devono garantire la salute del singolo paziente.
Diciamo da tempo che l’infermiere ha il suo sviluppo professionale futuro sia nel management che nella clinica, grazie alle competenze specialistiche già attive in molte Regioni. Istituti di ricerca come Sda Bocconi e Cerismas dell’Università Cattolica hanno ribadito la necessità di porre la professione infermieristica in una posizione di coordinamento-gestionale dell’assistenza, modificando i ruoli ed esaltando anche così gli spazi della specializzazione del medico. L’infermiere di domani è una figura che fa da cabina di regia del percorso personalizzato e nella costruzione della continuità con gli altri professionisti, tra cui il medico di famiglia quale referente clinico e gli altri specialisti.
Allora dov’è il problema?
Il problema non c’è. L’infermiere di famiglia non è una invenzione nuova, ma una realtà ormai consolidata in molte Regioni d’Italia e non solo del Nord. E ancora di più non rendersene conto fa capire che il senso del cosiddetto infermiere di famiglia non è stato assolutamente colto nel momento in cui si confonde il ruolo dell’infermiere con quello del medico, dandone un’interpretazione assolutamente limitata e riduttiva.
Nessuno, sottolineo nessuno, ha mai affermato che l’infermiere di famiglia sostituisce il medico nel momento della necessaria diagnosi e terapia. Non lo vogliamo neppure noi e non ci interessa. Semmai il suo intervento, che rientra nella medicina di iniziativa oggi chiesta a gran voce per far funzionare il Servizio sanitario nazionale e la prevenzione sul territorio, si innesca nel momento in cui il paziente va necessariamente seguito e va seguito a domicilio dove solo l’infermiere può andare in modo continuativo, controllando – e nel caso interpellando il medico – che tutto proceda per il meglio.
Non si strumentalizzano – come invece purtroppo ancora si assiste – dati di fatto come il triage, l’emergenza, l’assistenza agli anziani sul territorio, la continuità assistenziale offerta dagli infermieri e soprattutto le loro capacità provate e testimoniate oltre che dall’esperienza e dagli stessi pazienti da corsi universitari che certificano e testimoniano, ancora una volta, le capacità degli infermieri. Non si possono né si devono utilizzare modelli di assistenza ormai consolidati per cercare di tirare acqua a un mulino che di fatto è stato abbandonato da tempo perché operava con modalità ormai obsolete.
Nessuno di noi tocca la professionalità medica né ha mai pensato di farlo: nessuno tocchi, con approcci del tutto e solo strumentali, la professionalità infermieristica che offre ai pazienti sul territorio quell’attenzione e la cura di cui hanno bisogno.